Scriveva il buon Voltaire, nel lontano 1763: «Esiste in Francia un libro che contiene l’obiezione più terribile che si possa fare contro la religione: è il quadro dei redditi del clero, quadro troppo bene conosciuto, anche se i vescovi hanno rifiutato al re di fornirgliene un esemplare». Oltre due secoli dopo, nonostante l’illuminismo, la Rivoluzione francese, la laicità degli Stati, la secolarizzazione delle società occidentali (e non solo), in Italia siamo sostanzialmente allo stesso punto: lo Stato finanzia copiosamente una Chiesa ricchissima, senza che quest’ultima ci tenga troppo a farlo sapere in giro.
Nel 2007 Curzio Maltese ha pubblicato su Repubblica una serie di articoli che hanno avuto il merito di portare alla luce quantomeno una parte della gigantesca massa finanziaria, prelevata dalle tasche dei contribuenti, che la casta politica trasferisce con regolarità alla casta religiosa. La stima del giornalista è di 4 miliardi e mezzo di euro l’anno: più del costo della stessa casta politica, e quasi un’intera manovra finanziaria. La valutazione è peraltro fin troppo cauta, a mio parere, perché non tiene in debito conto quanto le amministrazioni locali (regioni, comuni, le inutili province e perfino le comunità montane e le circoscrizione) corrispondono alla Chiesa o ai suoi enti e associazioni sotto forma di contributi a fondo perso, oneri di urbanizzazione, prestazioni per servizi di volontariato prestati in luogo delle strutture pubbliche. Un flusso enorme, ricostruire il quale è impresa letteralmente impossibile: occorrerebbe spulciare tutte le delibere di migliaia e migliaia di istituzioni. E, come ricorda l’autore, in Italia manca una tradizione di inchieste serie nei confronti del business ecclesiastico.
Incommensurabili sono del resto anche le proprietà della Chiesa cattolica italiana: rappresentino esse un quarto o un quinto del patrimonio immobiliare italiano, come sostengono alcune stime non tacciabili di anticlericalismo, siamo comunque in presenza di un’entità economica in grado di condizionare pesantemente la società; travolgendo le regole di mercato, approfittando delle esenzioni fiscali di cui dispone e riversando i profitti così conseguiti nelle attività più disparate. Come potrebbe il movimento laico, privo anche solo di una sede, fronteggiare tale massa d’urto?
Di fronte a questi numeri, non si capisce proprio per quale motivo uno Stato in gravi ambasce come il nostro debba devolvere la gran parte dell’8 per mille del gettito IRPEF alla maggior potenza economica presente sul territorio. Gli apologeti cattolici rivendicano la democraticità di tale meccanismo: la decisione sull’utilizzo dei fondi è stabilita dai cittadini. In realtà il meccanismo è ancor meno trasparente del finanziamento pubblico ai partiti: la Chiesa (a differenza delle altre confessioni) riscuote i fondi in anticipo; inibisce, attraverso il cospicuo manipolo di parlamentari a lei devoti, che nuovi concorrenti accedano alla ripartizione; protesta vivacemente se lo Stato, che non ha mai fatto alcuna propaganda a proprio favore, anche solo lontanamente si azzarda a concepire un utilizzo dei fondi di propria pertinenza dotato di un qualche appeal nei confronti dei contribuenti. E, come se non bastasse, diffonde spot ingannevoli: le somme spese per le faraoniche campagne pubblicitarie superano le somme effettivamente stanziate per i progetti caritatevoli che fungono da testimonial.
Del resto, che il meccanismo non piaccia affatto ai cittadini è dimostrato dagli stessi dati: solo una minoranza della popolazione, a stento vicina al 40% e comprendente anche molti laici, sceglie di destinare l’8 per mille al momento della dichiarazione dei redditi. Tale percentuale si innalza al 60% quando si tratta di 5 per mille, e dunque di finanziamento di iniziative concrete: i tanti vituperati abitanti della Penisola si rivelano molto più pragmatici degli amministratori che li governano. Vi è peraltro un’altra dimostrazione indiretta della scarsa propensione dei cittadini al finanziamento della Chiesa cattolica: le offerte per il sostentamento del clero, fiscalmente deducibili, sono clamorosamente insufficienti alla bisogna. Le gerarchie ecclesiastiche lo sanno benissimo: si introducesse il sistema tedesco, come propugnato anche dall’UAAR, e tutti i fedeli (ma solo loro) fossero costretti a finanziare la confessione religiosa di appartenenza, con tutta probabilità assisteremmo alla più spettacolare apostasia di massa della storia del genere umano.
E l’otto per mille è solo la più nota forma di finanziamento statale a favore della Chiesa. Vogliamo parlare degli insegnanti di religione? Oppure del turismo religioso: tanto privilegiato, quest’ultimo, rispetto a quello artistico e naturalistico da aver fatto precipitare la nostra nazione dal primo al quinto posto nelle classifiche delle mete più frequentate. La Chiesa opera liberamente nello Stato, dunque, ma lo Stato è ritenuto sempre meno libero di mettere il naso nelle attività della Chiesa: lo IOR può operare in barba a qualsivoglia normativa antiriciclaggio e fare da punto di riferimento finanziario per la malavita, ma nessun giudice ha il coraggio di far notare agli extracomunitari di Oltretevere come l’investimento concreto dei profitti dei corleonesi andrà a discapito della sicurezza della società italiana.
La questua è costituito soprattutto dagli articoli pubblicati a suo tempo, e ha dunque il merito di non far cadere nel dimenticatoio un’inchiesta documentata e, per quanto era possibile, esauriente. Altri temi, come il racconto sulla mancata visita papale alla Sapienza, al di là di mostrare una “diabolica” capacità di creare casi politici in grado di far cadere un governo sembrano un’aggiunta poco convinta (a maggior ragione in presenza di un’introduzione scritta da Ezio Mauro, che in quell’occasione se ne uscì con affermazioni decisamente poco ragionevoli). Nel complesso, stiamo parlando di un libro da conservare con cura nella propria libreria.
«In questo Paese la libertà di un laico è considerata inferiore a quella di un cattolico», scrive Maltese: inevitabile, visto che una classe politica miope si lascia abbacinare dalla sovradimensionata visibilità mediatica della Chiesa che essa stessa ha generato. Un atteggiamento di favore giustificato, a destra come a sinistra, con la caritatevole sussidiarietà messa in atto da una sedicente disinteressata organizzazione evangelicamente ispirata. Il Vaticano, ci ricorda Maltese, vanta il reddito pro capite più alto del mondo. Ricordiamoci di ricordarglielo.
Raffaele Carcano,
giugno 2008
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Copia incolla spudorato.
Curzio Maltese - La questua
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